2021. Perché?

In evidenza

Per qualche motivo ho deciso di lasciare quest’articolo del 2021 in evidenza, da molto tempo. Questo perché lo trovo rappresentativo dello spirito del blog negli ultimi anni, contiene il ricordo di un viaggio del passato che ho amato molto, e un approfondimento sul tema dell’Unheimliche che passa attraverso letteratura e psicologia. Il tutto corredato da alcuni disegni eseguiti di mio pugno e alcune foto di quel viaggio di tanti anni fa. Se ho scritto una “finta” pagina commemorativa, sulla chiusura del blog, questa non è risultata vera (eppure, quando l’ho scritta, ci credevo!): ritorno ancora su queste pagine con alcune News, che troverete in alto a destra, sotto la Home, o attraverso la categoria Recenti.

Forse nel 2021 sono cambiata, ecco perché mi piace presentarmi così, con il ricordo di quel viaggio che avvenne proprio nell’anno in cui il blog migrò su WordPress, tra il 2010 e il 2011, tra sogni lucidi, paesaggi onirici e tante cose strane che mi capitarono.

Altre recensioni spicciole, le trovate altrove.

Burattini

In evidenza

Perché voglia parlarvi di burattini non lo ho ben chiaro. Credo che tutto sia iniziato quando nel 2010, per caso, mi imbattei in un museo dei burattini nella città di Lubecca.

Ciò che ricordo di Lubecca era la lunga strada che collegava il posto dove alloggiavo dal centro storico: ero a casa di una gaudente signora tedesca, in una stanza con bagno in comune che neanche si chiudeva, ma la signora era così gentile, tutti erano così discreti e gentili che alla fine mi sentii quasi adottata. Quando scendevo da questo grande palazzo, percorrevo questa lunga strada che ricordo come se fosse ieri, stampata nella mia memoria: c’era un rivenditore di materassi, con un grande cartello a forma di dito in movimento, una graziosa cartoleria che vendeva orsetti TY Beans (e all’epoca non erano diffusi in Italia come oggi). Sembrava tutto fuorché una città turistica. Poi si varcava una porta e si entrava a Lubecca.

Era una città alquanto strana, ci rimasi, a causa di un insieme di coincidenze, un periodo molto lungo di tempo, così che mi ero abituata a quella larga strada che percorrevo ogni giorno e di cui ricordavo ogni particolare.

A Lubecca tutto si fondava sul marzapane: c’erano animali di marzapane, castelli di marzapane. Mi misi a impastare marzapane anche io, un ragazzo biondo dalle dita lunghe mi spiegò come fare.

Poi finii nel museo dei burattini. Lì i miei genitori mi diedero per dispersa: non prima, non dopo. Mia madre credeva che il motivo per cui io non ritornassi più a casa fosse che il crudele proprietario del museo dei burattini mi avesse rapito.

Io, in effetti, come entrai in quel museo di burattini, rimasi affascinata da tutte quelle figure inanimate da non riuscire più a uscire. Mia madre, che continuava a chiamarmi senza successo lì da Napoli da dove provenivo, un pomeriggio trovò un cellulare squillare sul marciapiede, abbandonato da qualcuno, così che si convinse che quello era stato uno strano messaggio venuto da non so dove e io probabilmente ero stata rapita e forse anche uccisa, probabilmente dal gestore del museo dei burattini, in quello stesso pomeriggio.

In realtà non andò così, sebbene il gestore mi trattenne a lungo a parlare, insistendo su quanto fosse fantastico Pulcinella, e che loro, maledettamente, lì nel loro museo non avevano un Pulcinella. 

Perché mia madre abbia pensato questo – una mente di solito abbastanza logica e razionale – dovrebbe essermi stato chiaro fin da subito, ma la sua mi sembrò una strana reazione. Io che amavo i peluche, non potevo che essere interessata a un museo di pupazzi, e lei avrebbe dovuto capirlo. Non ci trovavo niente d’inquietante in un museo dei burattini.

Coincidenza vuole che in quello stesso anno, uscendo con un’amica, essa portò con sé una seconda ragazza, che quel pomeriggio in cui noi passeggiavamo distrattamente parlando, lei si rifiutò categoricamente di entrare nella villa comunale, a causa di una paura immotivata dei burattini. C’era in quel momento, infatti, tra i prati verdi, un innocuo spettacolo di burattini per bambini, che alla sola vista, in lontananza, la stava facendo visibilmente sudare freddo.

Ho scoperto molto dopo che esistono delle parole specifiche per definire quella che è una fobia ben codificata e – strano a dirlo – piuttosto comune, quella di bambole e burattini. Chiamata automatonofobia o pediofobia, mi sono accorta negli anni che conoscevo molte persone che ne soffrissero, molte più di quante avrei creduto.

Anche un altro mio amico, infatti, a cui volevo mostrare alcune bambole di porcellana della mia collezione (non ne ho molte, ma ne ho alcune a cui tengo abbastanza), ne rimase assolutamente terrorizzato al punto da dover distogliere lo sguardo.

A volte anche chi dice di non soffrire di questa paura e magari di giorno sorride tranquillamente di fronte a un orsetto, si può ritrovare a nasconderli in un armadio durante la notte, sostenendo che altrimenti “l’avrebbero guardato con i loro occhi vitrei”, e questo è il caso di un’altra persona che conosco bene.
Nei paesi più piccoli, inoltre, le persone che hanno le case piene di oggetti di forma animale o antropomorfa, con migliaia di occhi che guardano da ogni dove, sono considerate usualmente delle streghe.

Ricordo la casa di un’artigiana molto capace, nel borgo Casertavecchia, che venne considerata con timore da una persona adulta e istruita, madre di una mia amica, a causa delle migliaia di piccoli occhi dei prodotti in legno e ceramica esposti nella sua casa-negozio.
 
Ancora, la stessa Marie Kondo – esperta del riordino – ammette che la cosa più difficile di tutte è buttare pelouche e bambole, perché, usando le sue parole, quando questi ci guardano con i loro piccoli occhi sembra che ci chiedano di non buttarli, sembrano vivi, e questo è un grande ostacolo. Perciò, per riuscire a disfarsene, bisogna coprire i loro occhi e buttarli via senza pensarci.

Sembra che gli occhi, veri o finti che siano, vengano percepiti dall’essere umano come veri. Occhio = vivo, questa è l’equazione.

E così scopro infatti che il problema è stato analizzato anche da Freud, nel suo saggio “Il Perturbante”, in cui prende come esempio, per facilitare l’analisi, il testo di un racconto del suo contemporaneo E.T.A. Hoffmann, intitolato “Il mago sabbiolino” (tradotto anche come “L’uomo della sabbia”): io trovo che il mago sabbiolino come nome sia ancora più perturbante. È inserito nella raccolta Notturni, ma lo trovate facilmente in qualunque raccolta di Hoffmann, io consiglio quella che ho preso anche io, edita da Mondadori, “L’uomo della sabbia e altri racconti”, dove sono presenti anche molte altre cose interessanti, come “S.Silvestro”. Se non sapete chi è Hoffmann, non preoccupatevi, perché sicuramente lo conoscete: tutti abbiamo sentito parlare de Lo Schiaccianoci, specialmente a Natale. Inviti a teatro a vedere balletti, gadget natalizi e favole di dubbio gusto ci hanno circondato nel periodo invernali nel corso degli anni. Beh, Hoffmann è l’autore della famosa favola de Lo Schiaccianoci e il Re dei Topi (sì, hanno fatto anche un film di Barbie), che guardate, proprio una favola non è. Si rilegge fra le pagine di questo apparentemente innocuo racconto, che inizia con l’apertura dei doni di Natale – la presenza di un oscuro amico di famiglia “creatore di giochi” in grado di animarsi. E questo ricorda proprio il perturbante personaggio dell’Uomo nella Sabbia analizzato da Freud, poiché anche qui amico di famiglia e figura mostruosa vanno a sovrapporsi. Ci sono elementi ricorrenti in questi racconti di Hoffmann, come oggetti inanimati che prendono vita e l’incosapevolezza – lasciata al lettore – di cosa sia vero e cosa no.

L’ho fatto io!


Nel racconto Il Mago Sabbiolino infatti è presente una bambola (o forse una donna?) di nome Olimpia, figlia del professor Spallanzani. Il protagonista ne è attratto, al punto da dimenticare la sua fidanzata Clara, che gli è sempre stata vicina. Giocano un ruolo centrale nel libro gli occhi, sul cui significato indaga Freud nel suo saggio. Il Mago Sabbiolino, per l’appunto – viene raccontato al personaggio principale, Nathanael – è una figura che si presenta per buttare sabbia negli occhi ai bambini quando non s’addormentano; in età adulta Nathanael conosce un molesto ottico di origini italiane, Coppola, che vuol vendergli un binocolo per forza. Per tutto il racconto è incomprensibile se il mago Sabbiolino esiste e se davvero s’incarna nel malvagio amico di famiglia Coppelius, ci si chiede chi è davvero l’ottico Coppola, nonché il professor Spallanzani padre della bambola (o donna?) Olimpia e se il protagonista sia malato di mente oppure davvero vittima di una maledizione. 
Inutile dire che il racconto è molto cupo, inizia in forma epistolare, ed è comunque è impossibile che sfoci nel banale nonostante si consumi in una manciata di pagine.

Freud spiega che l’elemento perturbante appare quando non è chiaro cosa sia vero e cosa non lo sia, perciò le favole ordinarie – come Biancaneve, per intenderci – non risultano perturbanti perché seppur lugubri, gli elementi fantastici si presentano come dati di fatto, per assodato. Se siamo in un mondo “magico”, il lettore dà per scontato che tutto possa capitare. Ma quando c’è ambiguità, si presenta la sensazione di perturbante. Inoltre, una caratteristica del perturbante è unirsi a ricordi d’infanzia, a ricordi molto lontani, già presenti nel lettore: ad esempio le tipiche favole che si raccontano ai bambini per farli andare a dormire, collegate alla paura del buio.

Perturbante è ciò che si rivela e che non dovrebbe essere rivelato; ad esempio la presenza non rimossa, in età adulta, di paure infantili. Ma anche credenze magiche, nascoste nell’inconscio, che a livello razionale la mente rifiuterebbe. 

Per farvi un esempio nel quotidiano, potrebbe essere perturbante trovare un pelo nel vostro piatto, perché è qualcosa che si rivela e non dovrebbe essere rivelato. Dimostra una sporcizia in chi ha cucinato, combina familiare (il cibo, qualcosa di piacevole) e non-familiare. Ma potreste trovare molti altri elementi così. Pensate a ciò che vi turba e analizzatelo.

Il saggio di Freud è molto interessante, anche se si dilunga parecchio sulla parola Das Unheimliche (Perturbante) che in tedesco assume più significati e non riesce ad essere tradotta completamente in italiano. Essa significa sia “familiare” che “non familiare”.

Parola che si accosta molto bene all’immagine di una bambola di porcellana (familiare, poiché legata ai giochi che tutti abbiamo avuto, da bambini) riproposta in età adulta (e qui c’è un elemento che stona: perché una bambola dovrebbe interessare a un adulto? inoltre essa riproduce le figure umane, senza essere umana, viene così valutata non più con la fantasia e la giocosità del bambino, ma con il metro degli adulti, che vede nella raffigurazione degli occhi, degli occhi veri, nella raffigurazione di braccia, braccia vere, etc). Ecco cosa fa tanto inorridire il mio amico o i lettori al cospetto di Olimpia, bambola-figlia del professor Spallazani.

D’altronde, come dice anche il buon Jodorowsky, per l’inconscio i simboli sono realtà, ed è questo il motivo per cui la sua Psicomagia funziona tanto bene: la rappresentazione di desideri inespressi tramite atti simbolici porta sempre, nei suoi libri, (a meno che non si rifiuti di compiere il rito) alla guarigione del consultante.


Una raccolta di fotografie sul museo dei burattini di Lubecca


Parlo di burattini anche in:

Le avventure di Pinocchio: dal film di Garrone al Parco Pinocchio di Pescia, in Toscana


Libri consigliati:

L’uomo della sabbia e altri racconti, Lo schiaccianoci e il re dei topi – E.T.A. Hoffmann 
Psicoanalisi dell’arte e della letteratura – Freud

Chi cerca di ordinare, crea caos. Diario di alcune letture di Aprile 2024

Visto che non riesco a trovare pace nelle mie mille letture, ho deciso di realizzare un articolo su di esse, al fine di trovarvi un significato. Così come ho fatto in passato in un momento di riordino in cui ho tolto di mezzo svariati libri che non avevo più voglia di vedere1 e scritto un post su di essi (ma molti di questi sono immediatamente tornati indietro: ci tenevo troppo), farò altrettanto, almeno fino a quando i miei occhi non mi diranno ciao (odio scrivere al computer fisso nei giorni di sole).

Iniziamo da questo, trovato in una libreria che non mi appartiene insieme ad una lucertola morta ed un lombrico secco (dettaglio rilevantissimo).

Il libro capita a pennello, in quanto mi crogiolavo nell’episodio del primo incontro tra Rossana Podestà e Walter Bonatti da giorni, innamorata dell’immagine della loro tomba a Porto Venere (Liguria), anche questa comparsa misteriosamente per caso in un gruppo di tombe famose che frequento, e su cui mi riprometto di contribuire inserendo foto della mia collezione, ma poi non ho tempo e la pigrizia vince.

Walter Bonatti e Rossana Podestà, Porto Venere. Foto di Mauro Lavazza.

Comunque, dopo la nota introduttiva e il primo capitolo, mi areno. Si tratta di una raccolta di articoli e scritti autobiografici di Bonatti, sicuramente interessanti, ma incentrati solo sulla montagna (e senza cartine alla mano si perde sempre qualcosa, nella lettura). Inoltre Bonatti è un’alpinista, non uno scrittore. Mi riprometto di leggerlo, ma più avanti, e quindi ora ritornerà nella sua libreria.

Mi colpiscono però molto alcune sue parole nell’introduzione, che rivelano una grande profondità umana, nascosta all’interno di un corpo perfetto, sano, quello d’uno sportivo, che di solito, forse per pregiudizio, non si reputa mai tanto intelligente o profondo. Ma essere un’alpinista è diverso da essere un semplice sportivo. La macchina performa, ma anche la mente ascende. L’ascensione non è mai solo fisica, ma spirituale.

Il valore di una montagna, e dunque della sua scalata, è costituito a mio avviso dalla somma di elementi diversi e tutti importanti: l’estetico, lo storico, l’etico. Non potrei mai separare questi tre fattori né prescindere da essi, poiché stanno alla base della mia concezione della montagna.

Le montagne, infine, non sono che il riflesso del nostro spirito, hanno quindi il valore dell’uomo che le ama e vi si misura, altrimenti non rimangono che sterili mucchi di pietre.

[…]

Ho più chiaro in cuor mio che delle mete regalate non hanno valore, poiché vanno prima sognate e poi guadagnate. Questa è la mia conclusione, al di là delle vette raggiunte, dei luoghi esplorati, dei successi ottenuti.

Quindi, Walter Bonatti, pace all’anima tua, torni in cima alla libreria, lettura rimandata a data da destinarsi.


Pietra restaurata. Si era sbiadita.

Per qualche motivo poi sono ritornata ad Alejandro Jodorowsky, la cui immagine mi ossessiona, e ho ripreso tutti i suoi libri e li ho messi in bella vista sulla scrivania, insieme a tutti i mazzi di tarocchi di cui dispongo. Volevo costruirmi un piccolo altare “magico” che potessi ispirarmi e guidarmi. L’altare, in realtà, mi ha soffocato, con il suo peso, e penso di avere ancora molto da imparare nell’arte della psicomagia, ma di certo mi ha ispirato qualche disegno e ha reso una scrivania sterile molto più feconda.

L’ultimo libro di Jodorowsky che ho comprato è stato La vita è un racconto, mai finito di leggere. E’ illeggibile. E’ un insieme di brevi favole, una sorta di vangelo che possa ispirare nella vita. Sono storie interessanti, ma dopo un po’ non se ne può più, a leggerle tutte, così in fila. Molto belli invece, che mi sono rimasti nel cuore, Il maestro e le maghe e La danza della realtà, la sua autobiografia.
Ho scritto di Jodorowsky nel dettaglio due volte, e ho trovato interessante rileggere i miei appunti a distanza di anni.

Il primo è un excursus sui suoi film (2017), che ho visto tutti (me ne manca solo uno, Psicomagia – Un’arte che guarisce, l’ultimo della trilogia sulla sua vita), e degli appunti su La danza della realtà (2020), articolo che non ho mai ben capito perché l’ho scritto e pubblicato di là. Ma ritrovo molto di me stessa in quanto scritto.

Interessanti alcune citazioni riportate:

Il problema del perfezionismo si cura se accettiamo di mostrarci più imperfetti di quanto siamo in realtà davanti a chi lo pretende da noi. Una ragazza giovanissima che frequenta una scuola di cinema soffre perché esige troppo da se stessa. “Fin da quando ero bambina non sono mai contenta di quello che faccio. Il desiderio di essere perfetta mi blocca completamente”. Le consiglio di girare un cortometraggio, il più brutto possibile. Mal diretto, mal fotografato, male interpretato, con una storia stupida raccontata in modo assurdo. Poi deve radunare la sua famiglia, mostrare loro quella schifezza e obbligarli ad applaudire e a elogiarla.


Alle persone depresse è bene rivolgere la domanda: “Se non esistessero leggi e tutto ti fosse concesso, chi ammazzeresti e come?” aiutandole così a compiere i loro delitti in modo metaforico. Inoltre a queste persone è utile consigliare di fare qualcosa che non hanno mai fatto e nemmeno immaginato.


Mi ha ricordato inoltre il mio inseguire autori cileni (Lihn, Nicanor Parra e lo stesso Jodorowsky), collezionando dei libri abbastanza rari che custodisco come un tesoro, inseguimento poi continuato con la moglie di Luis Sepulveda, Carmen Yanez, di cui possiedo qualcosa. Tutto ciò che proviene da quelle latitudini ha per me un fascino particolare. Di Nicanor Parra, docente universitario di fisica e matematica che consigliò a Jodorowsky di trovarsi un lavoro normale per vivere, e poi continuare a coltivare le sue passioni come lui aveva fatto (consiglio non ascoltato, ovviamente), mi piacque molto, ai tempi, La Vipera, qui trascritta. Parla di una donna spietata, che l’ha distrutto, l’ha rovinato. La storia finì quando lui rimase totalmente senza forze per poterla soddisfare ancora, anche se si prospettava finalmente un futuro tranquillo. Era diventata una dottoressa in legge, oramai senza più problemi economici.
I due, Nicanor Parra e Alejandro Jodorowsky, condivisero una donna, Stella, mostrata nel film La danza della realtà.

Ma senza divagare troppo su cose già dette, vi spiego perché, tra le altre cose, sono ritornata a Jodorowsky. Avevo notato con piacere, da qualche tempo, il suo essere molto attivo su Facebook, alla modica età di 95 anni. Scrive assiduamente frasi di elevato valore, queste sono in spagnolo, ma non è difficile tradurle.

Me ne è rimasta in testa una che dice:

Chi cerca di mettere in ordine, crea caos.

E’ quello che succede a me da anni. E’ per questo che ho deciso di lasciare le cose così come stanno, lascive, buttate sulla scrivania, in attesa di ispirarmi. Ma non ha funzionato completamente.

Sulla sua pagina Facebook potete trovare anche una “scuola di tarocchi” gratuita, ovvero un insieme di articoli che parlano dell’arte della divinazione con i tarocchi. In realtà, non si tratta di cose così semplici da comprendere senza una pregressa preparazione.

𝐄𝐒𝐂𝐔𝐄𝐋𝐀 𝐆𝐑𝐀𝐓𝐔𝐈𝐓𝐀 𝐃𝐄 𝐓𝐀𝐑𝐎𝐓 𝐈𝐍𝐈𝐂𝐈𝐀́𝐓𝐈𝐂𝐎

Ho trovato interessante il capitolo 2, “Le dodici deformazioni”:

“Essere equilibrati significa essere un corpo (e non “avere” un corpo), essere un’energia sessuale, un’energia emotiva e un’energia intellettuale. Lo squilibrio sorge con l’insorgere di deformazioni. Queste sono in numero di dodici e sono caratterizzate da uno straripamento o l’invasione di un’energia nel dominio delle loro compagne. Quando l’oro è al suo posto, cioè quando il corpo è vissuto pienamente per quello che è, questo corrisponde alla perfezione. Il problema si presenta nel momento in cui le altre tre energie vengono a parassitare il corpo o quando lui stesso si sostituisce con le altre energie.”

Anni fa comunque ho provato a leggere il libro sui tarocchi di Jodorowsky, quello scritto insieme a Marianne Costa, e la mia conclusione è stata che è meglio imparare a svolgere elaborati calcoli matematici che utilizzare il cervello per queste cose. Ma più che altro, perché credo molto nel valore dell’esperienza in alcuni campi. Rendere i tarocchi un borioso studio (non credo tanto nella loro capacità di leggere il futuro quanto l’utilità introspettiva) li snatura, allontanandoli dal loro vero significato: inoltre serve molta memoria per rammentare la varietà di contenuti dei testi di Alejandro; ben diverso sarebbe apprenderli direttamente col maestro. Ma forse un giorno tornerò su questo libro con più pazienza.

Comunque vi rinvio alla pagina Facebook di Alejandro nei giorni in cui siete privi di ispirazione, ma io di ispirazione ne ho fin troppa. Qualcuno me la succhi via.


Jules Renard

Sembrerà strano ma ho quasi già finito e non trovo più libri da catalogare. Questi due rapidamente si spostano di nuovo nella libreria: ripensando ai libri che ho più amato nel passato, m’è tornato in mente Renard, sconosciuto autore de Il parassita e Storie naturali, comprati al Libraccio anni fa e letti in aree di servizio e giardini pubblici.

Renard, famoso per Pel di Carota, ebbe poco successo in vita. Figlio di due genitori poi suicidati, le sue opere contengono complessità e malessere esistenziale, forse dovuti anche alla mediocre vita borghese da lui vissuta e che gli ha permesso di essere ciò che era e poterlo mettere su carta senza troppi impedimenti. Analogo a questi due libri, posto nelle vicinanze, c’è il piccolissimo Diario di un uomo superfluo di Turgenev, che descrive l’esistenza di un uomo inutile, oramai in fin di vita, e che associo, per squallore esistenziale, a Il parassita. Nella lista dei libri da leggere c’è da tempo Padri e figli sempre di Turgenev, comprato anche questo su di una bancarella. Il motivo per cui volevo leggerlo nemmeno lo ricordo più: forse piaceva a Nietzsche e Salomé, forse è legato alla rivoluzione, al pensiero anarchico. Credo entrambi.


Di buona famiglia, Renard ha vissuto grazie alle rendite di famiglia, arrivando poi a diventare, verso la mezza età, il sindaco del paese.


Mi ossessiona poi da quando è iniziata la primavera, senza riuscire più a ritrovarla, una storia su un povero albero di ciliegio2 abbattuto da due boscaioli. Il piccolo albero di ciliegio, lì sulla strada, che non dava fastidio ma neanche serviva niente, venne fatto a pezzi mentre era in fiore. Dopo, il pentimento del boscaiolo, che osserva il modo in cui faceva pena quel povero e giovane albero, oramai buttato giù a terra.

Si tratta di un racconto breve di Tolstoj, il cui nome a volte confondo con quello di Checov, forse perché quest’ultimo ha scritto il ben più famoso Il giardino dei ciliegi. Questa storia credo di averla letta mentre cercavo Zivcik, il passero addomesticato, perché durante una primavera di quarantena mi cadde in giardino un piccolo di merlo, e ahimé non fece una bella fine. Proprio come Zivcik, che è una storia tristissima. Leggetele se vi sta venendo voglia di suicidarvi, saranno un ottimo intrattenimento ma non assicuro sulla vostra fine.

Mentre di questi racconti brevi non c’è traccia, di Tolstoj avevo recensito invece nel 2011 La sonata a Kreutzer, che poi ascoltai, ascoltai, ascoltai, tante volte.

Mi piacciono gli autori russi, hanno una durezza, una fermezza di idee e di sentimenti che è come un cassetto di legno, oppure d’un tavolo fatto davvero a partire da un tronco, che anche se passa il tempo, s’usura e s’impolvera porta sempre con sé il ricordo di ciò che è stato, di ciò che si è davvero vissuto.


Superati e senza problemi, invece, alcuni acquisti fatti a Napoli prima di partire: Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce, di cui ho gradito molto l’introduzione, qui riportata. L’accostamento a Nietzsche, qualcosa di sempre presente, a cui tutti vorrebbero giungere, è lì. Il libro mi ha anche ispirato un articolo che niente c’entra con esso, poiché ricorda il titolo “Ritratto dell’eroe da giovane” di PK. Ma non si può rileggere tutto. Comunque Joyce è duro, e in particolare forse lo è questa traduzione. Joyce è tanto interessante quanto ostile e il suo Ulisse mi affascina da tempo ma non ho mai veramente voglia di leggerlo.

Poco prima, sempre nello stesso posto, mi ero procurata “Aforismi per una vita saggia” di Schopenhauer. In realtà, già ho letto quasi tutto di questo estratto dei Parerga e paralipomena avendo letto poco tempo fa Aforismi sulla felicità (qui recensito) e Il giudizio degli altri (ne ho almeno due copie, l’avevo già letto e l’ho riletto). Così, penso di dedicarmi alla lettura di Il mondo come volontà e rappresentazione, con il desiderio di squarciare un po’ di più il velo di Maya, ma lo stesso Schopy mi blocca nell’introduzione. Avverte il lettore, più e più volte, fino allo sfinimento, di non leggere il suo libro se non si conosce bene Kant. Il libro è tipo 800 pagine. E sì, alla fine gli do retta. Io odio Kant, col c. che rileggo Kant per poter seguire Schopy.

Comunque anche qui, molto interessante l’introduzione (oramai sono una fan delle introduzioni) di questo Bur3.

Nel migliore dei casi la vita, comunque la si consideri, è un affare che non copre le spese.

Vi riporterei anche qualche frase in più, ma la pigrizia mi prende. Questa introduzione l’ho letta per strada mentre ero alla ricerca dell’abitazione di Sara Mancuso, moglie di Caccioppoli, quando ancora viveva con la madre e gestiva una pensioncina. L’abitazione era in via Cimarosa 47.

Perché prima, tanto per essere ancora più dispersiva, stavo leggendo L’attrito della vita di Lorenza Foschini, Indagine su Caccioppoli. Questo lo dispongo in versione ebook, è molto interessante. Il libro mi ha richiamato a un vecchio film, L’uomo che vide l’infinito, in cui tra i protagonisti c’è Hardy (anche lui un matematico suicida, come Caccioppoli, dello stesso secolo). Ma di film che si potrebbero vedere ce ne sono tanti.

Ad esempio, per tornare a Walter Bonatti e Rossana Podestà, su Raiplay ho notato ultimamente che c’è una fiction su di loro. Ma anche su Alda Merini, solitamente associata al giorno della poesia, il 21 marzo, c’è una nuova fiction. Io mi sono fermata alla fiction su Califano post Sanremo (non so nemmeno io perché l’ho vista, ma ho imparato diverse cose). Ci sono tanti film insomma che si potrebbero vedere, e non vedo niente. Perché non me ne importa niente.

Happiness is real only when shared4, e sono stanca di vedere cose da sola. Non ne ho voglia.5

Vorrei dirvi molto altro, ma in realtà ho finito. Non credevo di riuscire a completare questa lista sul serio. Tutto quello che non ho citato, ha perso d’importanza. E devo dire, è stato abbastanza oneroso mettere qui tutte queste cose in fila con un ordine logico, ma alla fine ci sono riuscita e ne sono pure contenta.

Ara Coeli, Roma.
  1. Come ero spensierata! ↩︎
  2. Tutto questo perché ricordo i fiori rosa a S.Cataldo di un anno fa, vorrei vederli ancora e saranno già sfioriti. ↩︎
  3. Introduzione di Anacleto Verrecchia. ↩︎
  4. Frase che si legge alla fine di Into the wild. ↩︎
  5. In realtà trovate molte recensioni di film più spiccioli sull’altra pagina, Lavanderie automatiche. ↩︎

Martedì 3 Aprile

Annotazioni su Topolino dopo almeno vent’anni

Come annunciato in un mio precedente articolo (Martedì 22 Marzo), mi sono procurata un Topolino a distanza di anni. La Ciurma del Sole Nero, saga fantascientifica, era in uscita sul n.3565 e continuerà, dopo due settimane, sul 3567, cioé domani. Quindi, per acquistarlo mi troverò a camminare, come mio solito, verso il tabaccaio-edicola dove normalmente mi servo. Il titolo della nuova storia è Rapsodia in Verde.

Devo dire la verità? Profondo blu, la storia pubblicata nel 3565, non mi ha convinto, mi aspettavo di meglio, forse perché il protagonista è Topolino e io ho sempre preferito le storie di Paperino, ma ciò mi ha dato l’occasione per rispolverare dei ricordi del passato: dei personaggi e uno stile che non vedevo da tempo.


Oggi è mercoledì, e mi sono procurata il 3567. Viene venduto in due varianti: una con una calamita con la copertina del primo numero di Topolino in omaggio, che forse un giorno varrà qualcosa (ma anche no),e la versione semplice con solo l’albo. 6€ contro 3.50€. Mi accontento della versione semplice, ultimamente sono selettiva e di roba ne ho fin troppa, non è per risparmiare.

È il 75° anniversario di Topolino, uscito per la prima volta nell’Aprile 1949, e io di ristampe di quel fatidico n.1 ne ho almeno un paio, in giro da qualche parte, insieme a tantissimi gadget accumulati dai ’90 ai 2000.

Osservo comunque che quasi ogni settimana da Topolino esce qualcosa. Nel numero precedente, le carte napoletane di Amelia (mi sarebbe piaciuto averle, ma non so se fossero complete), ancora prima, dei velivoli. Di carte da gioco ne avevo tante. Anche del n.3565, sempre già preso, c’era una versione variant: in allegato ad esso un bel volume sulla magia, che in fondo non mi sarebbe dispiaciuto.

Questo numero comunque è interessante perché c’è una storia su Amelia, e sono curiosa di vedere come sarà rincontrarla.

Potrei dirvi molto altro, ma non lo faccio, continuerò una volta letto l’albo. Vengo a sapere che Bombieri, il matematico, nel suo studio, teneva anche il diploma d’ispettore di Topolino1, che si otteneva raccogliendo un certo numero di bollini. Bombieri aveva lavorato con Ennio De Giorgi e Giusti, quest’ultimo morto da poco (il 26 Marzo2, mentre ero via), ecco il perché di un improvviso revival matematico in questi giorni. Sui libri di Giusti ci avevo studiato qualcosa anche io.

Non capisco molto bene dove andranno a parare questo genere d’articoli, ma non mi dispiacciono. Risulta comunque una fotografia di come vanno certi giorni, sebbene tempo e pazienza di leggere Topolino per intero, non ne abbia mai, e questo, devo dire, mi rende anche un po’ triste.

  1. https://maddmaths.simai.eu/persone/bombieri-modica/ ↩︎
  2. https://www.latinatoday.it/attualita/priverno-morto-matematico-enrico-giusti.html ↩︎

Martedì

Inauguro una nuova rubrica, che sarà di aggiornamenti su letture e nuove uscite. Stamattina mi sono svegliata così, ripensando a questa pagina di PKNA, forse complice del fatto che ieri leggevo “Ritratto dell’artista da giovane” di James Joyce e ciò mi ha ricordato una delle migliori storie di PK, “Ritratto dell’eroe da giovane“, il n.5, uscito nel 1997. Ambientato nel 2155, qui viene introdotta Geena, un’androide identica a Lyla Lay, e Odin Eidolon, il più ricco industriale della Paperopoli del futuro. L’albo in realtà non ha riferimenti a Joyce, ne prende solo il titolo.

Che abbia ripensato a PK è anche perché in questi giorni uscirà su Topolino una nuova storia de La ciurma del sole nero, saga ispirata ad un famoso episodio di Spazio 1999, l’1×03 – Sole Nero, del 1975 e che ho avuto piacere di vedere qualche tempo fa.

Da ex-lettrice di Topolino, ne interruppi l’acquisto intorno agli anni 2000, complice un calo della qualità delle storie e il fatto che stessi diventando grande e più interessata ad altri tipi di fumetti (da lì a breve scattò l’amore per il mondo manga). Mi sono sentita in colpa per un po’, come quando si lascia qualcuno che si è amato per molto tempo, ma ho continuato a conservare la mia copiosa collezione di Topolini, centinaia di albi raccolti meticolosamente dal 1993 al 2000, più diversi arretrati che venivano recuperati in lotti in diversi modi. Su Topolino imparai anche a leggere, a meno di quattro anni, in un’estate in Sardegna in cui ero affamata di storie. Ma questo è un altro discorso.

Di recente, per puro caso, mi sono accorta che però forse le cose su Topolino, in vent’anni, sono cambiate: in edicola mi sono imbattuta in una prima uscita, Topodissea, ad un prezzo vergognosamente basso (circa 2€), così ho portato a casa il volume, non sapendo se si trattasse di qualcosa che già avessi o meno. Appassionata di miti greci e latini come sono, mi faceva piacere avere una rinfrescata di classici omerici attraverso un fumetto che ne faceva la parodia. Ho scritto su queste pagine di quest’ottimo volume, realizzato da un giovane sceneggiatore che, a leggere dal curriculum, ha scritto anche altre storie interessanti e ha contribuito a riportare Topolino ai fasti dei vecchi tempi, quando le storie erano intelligenti, argute e ispirate ai migliori prodotti della televisione e del cinema dell’epoca, o a grandi classici della letteratura. E ciò non può che farmi piacere, sebbene non mi ritengo pronta a riprendere ad acquistare assiduamente Topolino.

Ma farò un’eccezione per il Sole Nero.

In uscita domani, penso proprio che lo acquisterò.

Per chi volesse recuperarlo come me, la saga è iniziata su Topolino 3436, Settembre 2021, e continuata sul 3463, 3495, 3456, 3438. (Grazie al sito Cent’anni di nerditudine per essere così dettagliato).

Inauguro una nuova rubrica, che sarà di aggiornamenti su letture e nuove uscite. Stamattina mi sono svegliata così, ripensando a questa pagina di PKNA, forse complice del fatto che ieri leggevo “Ritratto dell’artista da giovane” di James Joyce e ciò mi ha ricordato una delle migliori storie di PK, “Ritratto dell’eroe da giovane“, il n.5, uscito nel 1997. Ambientato nel 2155, qui viene introdotta Geena, un’androide identica a Lyla Lay, e Odin Eidolon, il più ricco industriale della Paperopoli del futuro. L’albo in realtà non ha riferimenti a Joyce, ne prende solo il titolo.

Che abbia ripensato a PK è anche perché in questi giorni uscirà su Topolino una nuova storia de La ciurma del sole nero, saga ispirata ad un famoso episodio di Spazio 1999, l’1×03 – Sole Nero, del 1975 e che ho avuto piacere di vedere qualche tempo fa.

Da ex-lettrice di Topolino (l’ho seguito con assiduità fino agli anni 2000, quando a causa di combinazione di due fattori, qualità delle storie in estremo calo più io che mi stavo facendo inevitabilmente grande), ne ho interrotto l’acquisto. Possiedo però, religiosamente custoditi, centinaia e centinaia di volumetti, di cui ricordavo con esattezza il contenuto solo a partire dalle copertina, e sui quali ho imparato a leggere, all’età di quattro anni, in un’estate in Sardegna, su una storia che parlava del lago di Loch Ness (un giorno la ritroverò).

Di recente, per puro caso, mi sono accorta che però forse le cose su Topolino sono cambiate: in edicola mi sono imbattuta in una prima uscita, Topodissea, ad un prezzo vergognosamente basso (circa 2€), così l’ho portata a casa, non sapendo se si trattasse di qualcosa che già avessi. Appassionata di miti greci e latini come sono, mi faceva piacere avere una rinfrescata di un fumetto che ne faceva parodia. Ho scritto su queste pagine di quest’ottimo volume, realizzato da un giovane sceneggiatore che, a leggere dal curriculum, ha scritto anche altre storie interessanti e ha contribuito a riportare Topolino ai fasti dei vecchi tempi, quando le storie erano intelligenti, argute e ispirate ai migliori prodotti della televisione e del cinema dell’epoca, o ai classici della letteratura. E ciò non può che farmi piacere, sebbene non mi ritengo pronta a riprendere ad acquistare Topolino.

In uscita domani, penso proprio che lo acquisterò.

La saga è iniziata su Topolino 3436, Settembre 2021, e continuata sul 3463, 3495, 3456, 3438. (Grazie al sito Cent’anni di nerditudine per essere così dettagliato).

Alla prossima.

Exile, silence and cunning

[…] l’artista non può essere uno come gli altri, dovrà – pena la perdita dei suoi poteri – vivere una vita difficile, diversa, tormentata. È lo stesso credo di Thomas Mann nel Tonio Kroger: la sofferenza è il passaporto per l’arte. […] Il suo nichilismo nietzschiano è quindi solamente una difesa contro la realtà, l’esterno, a cui ribellarsi soltanto servendo il proprio io e cercando di precisare questo io.


Il famoso proclama dell’exile, silence and cunning (esilio, silenzio e intelligenza) è la trinità a cui il pagano Joyce s’affida per continuare a creare e a vincere la soffocante realtà esteriore.

[…] il silenzio di Joyce che si esilia volontariamente è il silenzio dell’artista, dell’uomo superiore, del superuomo che non si cura di quello che dice o fa la gente, che sembra non curarsi affatto dell’opinione critica. Resta in silenzio perché è troppo impegnato a parlare con se stesso e ne ricava troppo piacere: è l’antitesi dell’uomo sociale, socialista, cristiano o democratico. L’influenza di Nietzsche, adombrata nelle prime opere, si rivela in tutta la sua coerenza nelle ultime. Il superuomo è artista: è quindi creatore indifferente al bene o al male. La sua arma è l’intelligenza.

(Introduzione a Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce, Massimo Marani, 1988, un libro acquistato per caso su una bancarella)

Recensioni di Settembre e Ottobre ’23

Come qualcuno più attento avrà potuto notare, mi sono spostata. Per essere una che diceva di non voler scrivere più (perlomeno qui, visto che scrivo altrove), scrivo abbastanza. In questa stagione ho scritto di un manga (Short Stories di Asano) e tre fumetti occidentali: 300 di Miller, Il nome della rosa e Caravaggio di Manara. Quest’ultimo, in realtà, pubblicato su Detersivi alla Spina, di nascosto, come ultimo articolo. Volevo chiudere in bellezza e ci sono riuscita.

Ecco gli aggiornamenti degli ultimi due mesi.

Film

Questa stagione ha segnato il ritorno ai film brutti (The Bad Batch) inclusi nei tentativi di vedere tutti i film che mi mancavano con Jim Carrey. Tentativi che hanno incluso sofferenza e che si sono arenati per sempre con Il Grinch. Bellissimi invece i cult anni 80 come Grandi Magazzini con Massimo Boldi, Renato Pozzetto e Paolo Villaggio. Ve ne potete fare una panza su Netflix.

Per il resto, aspettatevi ancora tante novità su tutti i fronti.